Speaker Radiofonico di Pesaro, da qualche anno "Brianzolo di adozione" lo potete ascoltare su: Radio Sabbia (Riccione), Multiradio Tolentino (Mc) e sulla web Radio Stereopesaro.it.Mi potete contattare alla Mail:roberto@bagazzoli.it
Visualizzazione post con etichetta creatività. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta creatività. Mostra tutti i post
18 settembre 2012
Lavoro i figli non seguono le impronte
Un numero: 721mila. Come le imprese chiamate a confr0ntarsi (nei prossimi anni) sul tema del passaggio generazionale. Immaginare che oltre 360mila di queste chiudano per mancanza di eredi pronti a rilevare l'attività di famiglia equivale a un'ipotesi di "suicidio collettivo" di una generazione - quella dei Millennials (coloro i quali negli anni duemila si sono affacciati al mondo del lavoro) - da più parti etichettata come vittima di un meccanismo infernale che l'ha esclusa dai processi produttivi.
L'ANALISI - Un conto salatissimo che la Storia le sta imponendo, con tutto quello che ne consegue anche in termini migratori. Se un recente studio ha confermato una diaspora silenziosa di migliaia di giovani italiani verso le economie più avanzate che (forse) offrono maggiori occasioni di soddisfazione professionale, colpisce come chi sia "baciato" dalla fortuna di avere un lavoro in famiglia ritenga invece non funzionale alla sua esistenza continuare i sacrifici dei propri genitori. Un'elaborazione realizzata per Corriere.it dalla Cgia di Mestre rileva come il 51,8% degli imprenditori intervistati (su un panel di quasi mille attori coinvolti) ritiene che i propri figli non siano interessati a proseguire l'attività paterna/materna. Di più: sono soprattutto quelle del Sud e del centro Italia ad essere maggiormente interessate dal fenomeno, ma anche la straordinaria vitalità imprenditoriale del Nord-est ne uscirebbe intaccata.
LE RAGIONI - Al primo posto tra le motivazioni alla base di questa fuga dal ritratto "iper-familista" dell'Italia dipinto come preponderante dai sociologi di varia estrazione c'è la Grande Crisi che sta scompaginando i comportamenti individuali. Denotando un cambiamento sociale di portata inimmaginabile: i giovani "figli di papà" - utilizzando un'accezione negativa ma che sembra fuoriuscire dalla bocca dei loro genitori scoraggiati - sarebbero mal disposti a "sgobbare" nel capannone/laboratorio/fabbrica di famiglia come i loro genitori. Al diavolo le conquiste (soprattutto in termini di consumi) delle famiglie, le loro possibilità di spesa cresciute a dismisura dagli anni rampanti del boom economico.
IL TITOLO DI STUDIO - Ora la parola chiave è una sorta di riflessione esistenziale sul rapporto costi/benefici: «Mi conviene lavorare dieci ore al giorno come mio padre che fa il fabbro? Sono convinto che la mia unica affermazione di vita sia quella di portare avanti il ristorante di famiglia?». Sempre più spesso la risposta è no. Qualche volta la declinazione individuale si confronta con una volontà (legittima) di studiare e specializzarsi in un altro ambito. Per carità, sono le cosiddette aspirazioni. Tanto che il corollario - certificato anche dalla Cgia - è che le nuove generazioni imprenditoriali (se lo volessero) sono sempre più qualificate in termini di studio: il 70% dei figli è almeno diplomato, il 15% possiede lauree e master. Eppure - al netto di una migliore preparazione teorica - sul piano pratico si moltiplicano le chiusure di aziende che non riescono a gestire il passaggio generazionale. Come se si fosse inceppato il meccanismo di trasmissione delle competenze. Amplificato da una sempre maggiore perdita di redditività (retaggio della globalizzazione che amplia sì i mercati di sbocco, ma restituisce una competizione anni fa impensabile). Così anche i genitori sembrano rassegnarsi. Traduzione della frase: «Preferisco che i miei figli facciano altro». Con il rischio di una sfiducia generalizzata verso ciò che ci aspetta e verso le nostre conquiste economiche e di vita, che i figli danno per scontato, ma chissà per quanto
16 settembre 2011
La crisi che aguzza l'ingegno
La crisi aguzza l'ingegno. E per qualcuno può addirittura aprire occasioni nuove, forse addirittura insperate. Come nel caso di Maritza Egas, trentenne di Stezzano (in provincia di Bergamo) a cui le due ore di impiego giornaliero come "donna delle pulizie" non bastavano più. Così, insieme con il marito Daniele e due colleghe, ha realizzato un'idea tanto semplice quanto efficace: stirare in modo professionale con ritiro e consegna a domicilio.
«La vera novità - dice Daniele, che nel frattempo ha lasciato il suo vecchio lavoro per buttarsi in questa impresa - è proprio questa e sempre in questa logica è nato il soprannome "Casalinghe disperate". Disperate, infatti erano mia moglie e le sue amiche ormai senza lavoro: ma disperate sono anche tutte quelle persone che, invece, un lavoro ce l'hanno ma spesso non hanno neanche il tempo di portare i propri indumenti in stireria o non amano che una persona estranea entri in casa loro per farlo». Niente a che vedere, dunque, con le protagoniste dell'omonima serie televisiva, in cui le protagoniste non hanno sicuramente molta confidenza con il ferro da stiro.
Questa è una storia di tenacia e intuito che per ora ha funzionato a meraviglia. I tempi di consegna del bucato stirato sono ottimi: in due giorni è assicurata e del trasporto si occupa Daniele che, tra l'altro, al momento veste i panni di centralinista, rispondendo ai clienti che chiamano su un cellulare, diventato dalla fine di luglio piuttosto "caldo". Al momento le donne che si occupano di stirare, dai trenta ai cinquant'anni, sono tendenzialmente quattro; ma la situazione è in continua evoluzione. «Noi vogliamo essere trasparenti, a partire dal prezzo: per questo motivo abbiamo deciso che il compenso viene calcolato a peso e non a ore: la durata dello stiro, infatti, è piuttosto opinabile tanto da lasciare molte incertezze e, a volte, anche insoddisfazione, nel cliente. Così, invece, non si scappa: un chilo di biancheria costa 3 euro, ogni camicia 2 euro. Ritiro e consegna, nelle zone limitrofe a Stezzano fino a Bergamo, sono incluse».
Quando Daniele si presenta a casa dei clienti porta con sé una bilancia portatile: «Così pesiamo subito tutto e facciamo un preventivo che alla fine non riserva brutte sorprese a nessuno». I risultati intanto stanno arrivando: i primi clienti che si sono rivolti alle "Casalinghe disperate" sono tornati, segno che il lavoro è stato svolto in modo esemplare ma capita sempre più spesso che a richiedere il servizio siano anche persone che hanno un bisogno estemporaneo. Magari un surplus come accade, per esempio, al ritorno dalle vacanze.
Buona Giornata
Roberto
Iscriviti a:
Post (Atom)