23 febbraio 2012

Alla Coca Cola piace vincere Facile

«Chiudete il sito e non registrate il marchio». A volte capita che il gigante decida di schiacciare il moscerino. E così la Coca Cola, colosso di Atlanta che produce una delle bevande più bevute al mondo, ha lanciato l'ultimatum. Destinatario del messaggio è CocaColla.it, blog italiano fondato da un gruppo di giovani che dal 2010 si occupa di arte, design, advertising, lifestyle e trend della rete. LA LETTERA - Già da un po' di tempo il lavoro di questi ragazzi aveva riscosso successo nella blogosfera italiana. E non è un caso che di loro si sia è accorta anche la Coca-Cola Company. Scrive il team del sito in un comunicato stampa: «per mano del loro ufficio legale, ci hanno fatto recapitare due lettere di diffida, chiedendoci di ritirare le pratiche avviate per la registrazione del marchio e la cessione nei loro confronti del “nome a dominio” www.cocacolla.it. Non sono da ritenersi esenti i nostri profili social. Pena citazione a giudizio». La motivazione? «la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio www.cocacolla.it determina l’insorgere di un grave rischio di confusione per i consumatori che possono essere indotti a ritenere che il segno e il dominio siano volti a contraddistinguere prodotti/servizi distribuiti, organizzati o sponsorizzati dalla Coca Cola». Che detto in parole povere significa: chiudere il sito, cedere il dominio e sospendere la pratica di registrazione del marchio per non dare troppo fastidio. Il tutto in soli 15 giorni. Il team di Cocacolla.itIl team di Cocacolla.it IL PRECEDENTE BOLIVIANO - Troppo rischioso infatti portare avanti un'azione legale del genere per il gruppo di lavoro di Coca Colla, che ha deciso di piegarsi alle richieste di Atlanta. «Sapevamo che qualcosa sarebbe potuto accadere e abbiamo deciso di cedere su consiglio di un avvocato», si legge ancora nel comunicato. Da sottolineare poi come tutta la vicenda abbia un precedente importante. Nel 2010 in Bolivia fu lanciata su mercato una bevanda chiamata proprio Coca Colla e per di più molto simile alla bevanda zuccherata prodotta dal gigante di Atlanta. Ma, in quel caso non si ebbero notizie di azioni legali da parte della Coca Cola company. Sia quel che sia, ora gli autori del blog italiano, in attesa di decidere come portare avanti il proprio progetto editoriale, hanno deciso di sensibilizzare l'opinione pubblica con varie iniziative, tra cui l'hashtag da lanciare su Twitter #supportcocacolla. Che ad Atlanta decidano di contestare anche quello?

13 febbraio 2012

Una carriera porta a porta....

Una carriera da agenti Folletto. Sono 7.700 le persone che, nel 2011, hanno compilato il curriculum sul web, 24 mila coloro che hanno consultato la sezione "lavora con noi" sul sito 'folletto.it' della Vorwerk, grazie alla campagna di recruitment online promossa dall'azienda, e basata sul motore di ricerca lavoro on line Jobrapido. Ai 7.700 navigatori del web vanno aggiunte, però, le candidature di chi è venuto a conoscenza della possibilità di lavoro direttamente dagli agenti in visita.
I PROFILI - Uno su tre tra i curiosi della vendita diretta, dunque, è seriamente interessato alla carriera di incaricato alla vendita. Un lavoro "porta a porta", che richiede spiccate attitudini ai rapporti interpersonali, dinamicità, intraprendenza e molta costanza. È forse per questo che il profilo della maggior parte di chi ha cercato lavoro presso Vorwerk Folletto, gruppo nato in Germania nel 1883 e presente in Italia da oltre 70 anni, delinea un candidato giovane, alla ricerca di prima occupazione. Non solo giovani, però, coloro che, per voglia o per necessità, hanno compilato il form on line per accedere alle selezioni del gruppo Vorwerk Folletto. Il 23% dei curricula, infatti, come fa sapere l'azienda, appartiene a candidati over 50 che, presumibilmente, cercano una strada per rientrare nel mondo del lavoro, grazie a un'occupazione caratterizzata da flessibilità in entrata e in uscita. Dalla Campania è arrivato il maggior numero di curricula, regione che guida la classifica con il 15% delle richieste totali. Al secondo posto si piazza la Lombardia, con il 13% di richieste. I CANDIDATI - Ma chi sono gli incaricati alle vendite? Difficile dare una risposta secca: gli occupati nel settore della vendita diretta, infatti, rappresentano un po' «uno spaccato della popolazione italiana, specie dal punto di vista scolastico», come afferma Paolino. «La vendita diretta -continua- è, tradizionalmente, un mondo prevalentemente al femminile: le donne rappresentano tra il 75 e l'80% degli occupati. Questa tendenza - spiega - è favorita dal fatto che la vendita diretta non ha orari e quindi le donne riescono a conciliare meglio gli impegni familiari con le esigenze lavorative». Ma non ci sono solo donne. «Molti i giovani che entrano nel settore senza alcuna esperienza e -aggiunge Paolino- molti anche gli ultracinquantenni espulsi dal sistema produttivo che trovano da noi facile collocazione e che hanno, dunque, la possibilità di ricominciare. Anche se - precisa - resta il fatto che il 60% degli occupati ha un'etá compresa fra 30 e 55 anni». IL FATTORE D - Il dato sull'occupazione delle donne sale ancora per le aziende associate a Univendita. «Circa l'80% della nostra forza di vendita è al femminile, in parte per i tipi di prodotto, in parte -conferma Pozzoli- perchè è un lavoro caratterizzato da alta flessibilità che va incontro alle necessità di molte donne; basti pensare -sottolinea- che la maggior parte è sposata con due figli». «Il profilo generale non è cambiato molto: la fascia d'etá maggiore - conclude - resta quella compresa tra 25 e 45 anni. Soprattutto nel Sud, molti giovani cominciano per arrotondare, per entrare nel mercato del lavoro o per un guadagno durante il periodo universitario. Nuovo, però, è il fenomeno del reintegro nel mercato del lavoro degli ultracinquantenni, localizzato soprattutto al Centro-Nord».

I giovani ? Alla ricerca di un noioso posto fisso.

D avvero i giovani italiani hanno in mente solo il mito del posto fisso e vedono con sfavore l'idea di mettersi in gioco in termini più imprenditoriali? E davvero tendono a cercare solo posti di lavoro vicini alla famiglia di origine? I dati di una recente ricerca scientifica, condotta tra i giovani fra i 18 e i 34 anni, ci aiutano a comprendere, al di là delle affermazioni e ipotesi che si sono succedute in questi giorni, come stanno realmente le cose. La sicurezza e la stabilità del posto costituiscono senza dubbio, ancora oggi, l'elemento più attrattivo in un lavoro per la maggioranza relativa dei giovani italiani. Alla richiesta di scegliere qual è l'aspetto più importante in una occupazione, più di uno su tre cita senza esitazione il «posto fisso» che risulta contare assai più dello stipendio e ancor più dell'interesse del tipo di lavoro. Meno del 4% cita come elemento più importante la possibilità di fare carriera o quella di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità. La posizione stabile rappresenta dunque per gran parte della popolazione giovanile (ma anche per quella più matura) il connotato più atteso. Il che è per molti versi comprensibile, dato che non tutti debbono possedere necessariamente uno spirito imprenditoriale e che, nella fase economica che stiamo attraversando, conquistare un posto fisso costituisce per molti un grande privilegio (anche se le ricerche condotte in passato mostrano come anche prima della crisi la stabilità dell'impiego abbia sempre rappresentato l'aspetto più ambito in una occupazione). Risulta particolarmente attratto dalla sicurezza del posto di lavoro chi possiede titoli di studio più bassi e, ovviamente, chi in questo momento è alla ricerca di un impiego. Questi orientamenti sono confermati anche dalle risposte al quesito relativo alla preferenza tra un lavoro «sicuro anche se meno redditizio» e uno «meno sicuro con più prospettive di reddito»: quasi nove giovani su dieci (per l'esattezza l'84%) optano senza esitazione per la prima alternativa. La remunerazione può anche essere esigua, quello che importa è la sicurezza. Di qui una netta (per il 75%, con una diminuzione, comunque, rispetto a due anni fa quando era l'84%) predilezione per un mercato del lavoro «meno flessibile, con meno possibilità di licenziamenti, anche a costo di stipendi più bassi» piuttosto che uno «più flessibile, ma che favorisce stipendi più elevati». Al riguardo si riscontrano significative differenze territoriali, con una forte accentuazione a favore di una minor flessibilità del mercato del lavoro tra i giovani residenti nelle regioni meridionali (beninteso, anche la gran parte degli under 34 che abitano al Nord opta per quest'ultima alternativa).
Per conquistare il posto fisso, la netta maggioranza dei giovani italiani è disposta ad affrontare molti sacrifici, compreso quello di trasferirsi lontano da casa propria. In particolare, oltre il 70% - e ancor più tra i residenti nel meridione e nel Nord-Est - si dichiara pronto ad accettare un lavoro anche lontano dalla propria regione di residenza (ma il 30%, quasi uno su tre, non risulta disposto a una soluzione simile). Invece solo poco più di metà (56%) dei giovani italiani dice sì all'idea di un posto di lavoro, anche se fisso, in un altro Paese europeo: l'apertura appare molto maggiore tra i giovanissimi fino a 24 anni, mentre si attenua, forse a causa di famiglie già formate, tra chi ha tra i 25 e i 34 anni. È curioso notare che la disponibilità a trasferirsi appare relativamente più elevata tra chi possiede un diploma di scuola media superiore. I laureati, invece, forti del loro titolo di studio, appaiono paradossalmente più restii a spostarsi. Questa è, dunque, la cultura del lavoro prevalente nelle nuove (ma anche nelle vecchie) generazioni del nostro Paese. Se è vero, come molti autorevoli studiosi e osservatori hanno sottolineato in queste settimane, che la prospettiva del posto fisso a vita è ormai sulla via del tramonto, travolta in particolare dai processi di globalizzazione e dalla sfavorevole congiuntura economica, è vero anche che questo mutamento pare accolto con grande sfavore e ostilità dagli italiani (e non solo da questi ultimi).

06 febbraio 2012

Tutti pazzi per lo shampoo da cavallo.

MADRID – C’è chi (in Siberia) mangia i sassi, chi (nel Sahara) li “beve”, chi fa il bagno nel latte d’asina, chi fa il peeling con i rubini o si strucca con il guano dei passerotti. Qualche naufrago, sopravvissuto, disadattato ha vissuto per settimane a forza di scatolette per cani. Stranezze da super ricchi o necessità da super poveri. Ma nessuno, fin’ora, aveva pensato di lavarsi i capelli con uno shampoo per cavalli. E non perché è un gaucho della Pampa argentina. Ma a Madrid. Lo “Champù de caballo” si vendeva fino al novembre scorso solo dal veterinario. Ora è disponibile, in una versione approvata per uso umano, anche nei supermercati Mercadona. Il passa-parola ha fatto il miracolo di marketing tanto da spingere i manager della catena commerciale a commissionare un “champù” per umani che avesse gli stessi ingredienti e le stesse virtù di quello per animali. Bingo. Da prodotto per iniziati semi clandestino è diventato un successo da scaffale cosmetico. Lo Champù de caballo nella versione umanaLo Champù de caballo nella versione umana CONTROLLI SANITARI - «Rende i capelli più forti, ferma la caduta, aumenta la brillantezza e elimina le doppie punte», assicurano i seguaci. La «febbre dello shampoo per cavalli», come l’ha definita il quotidiano El Mundo che gli ha dedicato un’intera pagina, ha ignorato spensierata per anni le norme e i controlli sanitari che devono superare i prodotti curativi per uso umano. Approvato per i cavalli, nessuno sapeva davvero che effetti potesse avere sull’uomo. Ma, provato una volta, la gente non smetteva di adoperarlo e lo consigliava ad amici e parenti. «Lo vendiamo da anni per uso zoosanitario e abbiamo prove che la biotina, l’elemento essenziale del prodotto, aiuti a rinforzare e sgrassare la criniera», sostiene Guillermo Picabea, veterinario dei Laboratorios Bilper che producono lo shampoo. IPPO-ENTUSIASTI - Potenziali calvi, donne in cerca del riflesso seducente hanno fatto da cavia volontaria fino a che il passa parola è diventata idea commerciale. «La biotina presente nello shampoo – assicurano dei biologi ostili all’operazione – è una vitamina del gruppo B, sicuramente utile ai capelli che però non si assorbe a contatto, ma va ingerita per bocca». L’effetto decantato dagli ippo-entusiasti sarebbe quindi solo auto suggestione. Business is business, fiutato il profumo degli euro, supermercato e laboratorio veterinario hanno cavalcato la domanda. Per non stare troppo a discutere con medici e esperti di laboratorio hanno scelto di portare dalle stalle alle docce la “miracolosa biotina” presentandola come prodotto cosmetico (e quindi senza test o autorizzazioni preventive) e non come sostanza sanitaria. CAVALLO CALVO - Nonostante la scorciatoia sull’etichetta dell’ex detergente per criniere resta scritto che «aiuta a rinforzare i capelli sottili, migliora la qualità della cheratina rigenerando e rinforzando i bulbi capillari». Un po’ troppo per un prodotto di bellezza (umani o equini che siano) e non un medicinale. Chi lo compra, però, non ha neppure il tempo di leggere le paroline stampate in corpo 10. Gli basta il suggerimento dell’amico o dell’amica che lo usavano anche quando era solo, ufficialmente, un lava criniere. «Ferma la caduta, aumenta la lucentezza... D’altra parte, hai mai visto un cavallo calvo?». Miracoli della psicologia di massa.

03 febbraio 2012

I Repubblicani "do it better"

Il sesso per le persone di destra è qualitativamente migliore che per quelle di sinistra. Lo rivela lo studio Single In America condotto dal sito Match.com, in collaborazione con Laura Berman, una delle più famose sessuologhe Usa e Helen Fisher, rinomata bio- antropologa. “Si tratta della più completa analisi sui single d’America mai realizzata fino ad ora”, spiega il noto sito di appuntamenti online, che traccia un profilo dettagliato delle abitudini sessuali di 107 milioni di cuori solitari Usa, attraverso un campione rappresentativo di oltre cinquemila single. Dai risultati emerge lo stretto legame tra sesso e politica. Alla domanda ‘Quale partito politico è più bravo a letto?’ la risposta è: quello repubblicano. Infatti, il 53% dei single conservatori raggiunge più facilmente l’orgasmo contro il 40% dei liberal, anche se i repubblicani hanno meno rapporti sessuali. Inoltre, il 40% dei sostenitori della destra Usa si dichiara soddisfatto della propria vita sessuale durante il matrimonio: un record. Anche la scelta del partner mette in rilievo le drastiche differenze esistenti tra destra e sinistra. IL SESSO E LA POLITICA - I democratici cercano un compagno che sia indipendente, dotato di sense of humor e con un analogo stile di vita. I repubblicani invece sono fedeli al loro credo conservatore, auspicando di trovare un partner che abbia identici background e visione politica e soprattutto creda nel valore del matrimonio. Tutti i single americani concordano però su un punto: l’importanza della fedeltà, soprattutto per il Presidente. Il 62% degli uomini e l’80% delle donne, infatti, considera la fedeltà ‘un requisito non negoziabile’. Ma ben 9 intervistati su 10 (87% uomini e 91% donne) sono intransigenti nei confronti di un candidato adultero, perché, sostengono, “non vi sono scuse accettabili per l’infedeltà di un inquilino della Casa Bianca”. Lo studio delinea anche un nuovo profilo del maschio single contemporaneo. Un uomo romantico e sensibile che teme la solitudine e s’innamora molto spesso, anche più delle donne.
Il 30% dei maschi e il 21% delle femmine trentenni ha vissuto l’esperienza dell’amore a prima vista. In barba agli stereotipi i primi sono più propensi ad accasarsi rispetto alle seconde. E a sposarsi anche se non innamorati, purché trovino una compagna che abbia “tutte le doti che cercano in una moglie”. Uno dei dati forse più inaspettati riguarda gli over-60, che, a detta di Match.com, raggiungono l’orgasmo più di tutti gli altri: ben 91 volte su 100. Ma nell’era del Viagra non c’è da stupirsi.

La Bella Italia poco "Gay_Frandly"

L'Italia è un paese poco "gay-friendly" e non tutela abbastanza i diritti degli omosessuali. A stabilirlo è l'ILGA-Europe, l'associazione regionale per l'Europa che difende i diritti degli omosessuali, che in un recente articolo apparso su EuObserver.com, la rivista online che si occupa esclusivamente di tematiche legate all’Unione Europea, boccia sonoramente il Belpaese. Tra i paesi che fanno parte dell’Unione peggio dell’Italia fa solo Cipro, mentre nell’intero continente – rivela l’associazione - ci sono alcuni nazioni come Armenia, Azerbaijan, Macedonia, Russia, Turchia e lo stesso Cipro che violano e discriminano apertamente i diritti degli omosessuali. TUTELE - Nella pagina dedicata all'Italia, l'associazione sostiene che nel Belpaese sebbene la discriminazione sessuale sia proibita dalla Costituzione, a differenza di ciò che accade in tanti paesi dell'Unione Europea non esiste ancora alcuna norma che disciplini le unioni tra persone dello stesso sesso o che permetta l'adozione a cittadini omosessuali. I paesi che maggiormente tutelano gay e lesbiche nell'unione continentale - continua l’associazione - sono l’Inghilterra, la Svezia e la Spagna che da anni ormai hanno approvato leggi che garantiscono i loro diritti. Ma se in Italia essere omosessuale per molti risulta ancora un problema, a Cipro - racconta la rivista online - va anche peggio. Nel territorio settentrionale dell'isola, controllato dalla Turchia, l'omosessualità è illegale e negli scorsi mesi sono stati eseguiti diversi arresti di persone gay, tra cui l'ex ministro delle finanze greco-cipriota Michael Sarris.
CAMPAGNA - Tre anni fa ILGA-Europe lanciò la campagna «Be Bothered» che s'impegnava non solo a promuovere leggi e iniziative comunitarie a favore dei diritti delle persone lesbiche, gay e transgender, ma aveva come principale obiettivo il riconoscimento dell'omofobia e della transfobia come reato. La Commissione Europea propose nel 2008 una norma antidiscriminatoria che garantisse i diritti non solo della comunità gay e lesbica, ma di diverse minoranze tra cui i disabili,gli anziani, i gruppi religiosi e etnici. Tuttavia vari paesi, guidati dalla Germania, affermarono che i diritti delle minoranze erano disciplinati dalle leggi nazionali e la norma si bloccò: «L'Europa si considera un leader globale nei campi dei diritti umani e delll'eguaglianza - ha dichiarato qualche mese fa alla rivista online Linda Freimane, portavoce di ILGA-Europe - Ma gli indici ci dicono che siamo ancora molto lontani dal diventare un continente dove i diritti dei gay e delle lesbiche sono garantiti completamente e dal poterci dichiarare campioni d'uguaglianza»

02 febbraio 2012

Decolla la musica legale ?

Boom della musica legale e pirateria in calo su internet: è uno scenario che sembrava impossibile solo fino a poco tempo fa quello che si sta realizzando anche nel mercato italiano. E il merito è soprattutto delle nuove offerte per gli utenti. Lo dicono i dati ufficiali che Fimi (Federazione industria musicale italiana) presenterà oggi: il fatturato del 2011 è salito del 22 per cento, a 275 milioni di euro, molto di più della media globale, che è stata del +8 per cento. Si riduce così un gap tra l'Italia e gli altri Paesi: adesso il digitale equivale al 21 per cento del mercato discografico italiano. Un dato doppio rispetto a quello del 2010, anche se ancora lontano dalla media globale. Nel mondo, infatti, ormai il 32 per cento del fatturato musicale dipende da internet. "I fenomeni più importanti in Italia sono la crescita dello streaming - Youtube in particolare - e il boom della vendita di album", dice a Repubblica.it Enzo Mazza, presidente di Fimi. Vedere videoclip su Youtube è gratis, ma questa piattaforma (di Google) paga i diritti alle etichette discografiche, che in Italia ne hanno ricavato 4,5 milioni di euro nel 2011. Una crescita del 64 per cento sul 2010. "Ma incide anche l'arrivo di tanti nuovi servizi musicali di streaming, nel 2011, in Italia: Rara, Deezer, Cubomusica di Telecom; il passaggio della piattaforma di Dada allo streaming", continua Mazza. Al solito, in questi casi l'utente paga un canone che permette di ascoltare musica via internet, via computer o cellulare, scegliendola da un catalogo di milioni di brani. Come una radio con libera scelta della canzone, insomma, senza poterla possedere permanentemente (anche se alcuni servizi permettono pure di scaricarla, con un costo extra). "Per il download di musica legale in Italia è campione indiscusso iTunes, il servizio di Apple", dice Mazza. Gli italiani tendono a scaricare di più album interi, adesso. Ed è una novità, visto che storicamente il download di musica su internet è sempre stato associato a una preferenza per i singoli; tanto che alcuni profetizzavano la fine della forma album, la sua decomposizione in canzoni isolate dal contesto. E invece: il fatturato degli album digitali è salito del 37 per cento (più che triplicati rispetto al 2009) contro una crescita dei singoli del 25 per cento. "Il motivo è che sta maturando il pubblico della musica online legale. Infatti vediamo che i giovani preferiscono ancora il download di singoli e lo streaming; gli utenti più maturi, che prima compravano solo cd, adesso scaricano l'intero album", spiega Mazza. La tendenza si percepisce anche in altri Paesi. Negli Usa gli album digitali sono cresciuti del 19 per cento, nel Regno Unito del 27 per cento e in Francia del 23 per cento. La media globale è del +23% (dati Ifpi, la federazione internazionale dell'industria musicale). E come effetto del boom del download legale, cala la pirateria. Secondo i dati Fimi, adesso è il 23 per cento degli utenti internet italiani a usare servizi illegali (per lo più cyberlocker come l'appena defunto Megaupload; in forte calo il peer to peer, come eMule). Ancora un dato molto alto, ma l'anno scorso era il 27 per cento. "Bisogna ringraziare, di questo, la crescita dell'offerta legale e il boom degli smartphone. I quali sono collegati direttamente a piattaforme legali di ascolto e download di musica", spiega Mazza. Molto meno facile l'uso di servizi pirata su smartphone. "Ma il merito è anche dell'azione di contrasto alla pirateria: adesso gli italiani sono più consapevoli che è una cosa sbagliata". La sensazione è che sul calo della pirateria incida molto di più la crescita dell'offerta legale. Del resto, dal 2004 ad oggi, le forze dell'ordine hanno colpito solo 600 "pirati" di musica, riporta Fimi; e si trattava sempre di persone che mettevano online album (per lo più, appena usciti o in anteprima). In Italia è illegale anche il semplice download di musica, ma chi si limita a fare questo, senza condividerla con altre persone, non viene di fatto più perseguito dagli aventi diritto. E comunque ancora il successo del digitale non basta a contrastare la perdita di ricavi totali (fisici e digitali) del mercato discografico: del 4 per cento, nel 2011, a quota 130,5 milioni di euro (contro i 135 milioni del 2010), riporta oggi Fimi.