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21 novembre 2012
Barista pentita spegne le slot
CREMONA - Una signora di mezza età si piega per raccogliere da terra la spina e infilarla nella presa della corrente. La barista la ferma: «L'ho staccata io, le slot sono fuori uso». Quando la cliente esce, aggiunge: «Le ho spente perché non sopportavo più di vedere persone che si rovinavano in quel modo».
Di macchinette, nel bar tabaccheria «Gio» di via Mantova, prima periferia di Cremona, Monica Pavesi ne ha due. «Non le volevo sin dall'inizio, a me - dice - interessava solo il Totocalcio, i cui proventi però sono crollati. E così, per non essere in perdita, sono stata costretta a tenerle». E ad assistere allo «spettacolo» che ogni giorno andava in scena dall'altra parte del banco, a destra dell'ingresso. «I giornali e la televisione - racconta - la crisi l'hanno scoperta da qualche mese. Io, invece, ce l'ho davanti agli occhi da tre anni. Italiani e stranieri, molti anziani ma anche giovani, forse più donne che uomini: gente che non se la passa bene e si aggrappa ai videopoker spendendo tutto quello che ha».
La barista anti slot ha rilevato il locale nel 1987 e ha ancora un mutuo da pagare. «A me piace fare i caffè, parlare con i clienti. Non voglio più avere a che fare con chi è convinto che il denaro per vivere arriva da quegli apparecchi».
Il «silenziatore» è stato messo un mese fa. Una decisione che sta già costando cara alla titolare perché le slot incassavano 40-50 mila euro al mese e il 6 per cento (1.500 euro ogni quindici giorni) andava a lei. Una decisione che in futuro potrebbe costarle ancora di più: il contratto scade nel 2015 ed è probabile che la concessionaria si farà sentire. «Che danni avrò? Non lo so. Mi dicevano che non potevo recedere». Ma intanto il Comune, impegnato in una crociata contro le slot, ha deciso che premierà la barista. «Ha fatto un gesto coraggioso - dice il vicesindaco Carlo Malvezzi - che può essere un esempio per tutti i suoi colleghi».
Adesso, dunque, l'ultima frontiera della lotta alle macchinette mangiasoldi che scatenano il «gioco compulsivo», autentica malattia che rovina migliaia di famiglie, arriva dai locali che per la prima volta - vista l'assenza dello Stato, che dal gioco ricava 12,5 miliardi l'anno - lanciano la questione morale. In Lombardia, dove negli ultimi dieci mesi le 60 mila slot hanno bruciato 10 dei 60 miliardi (stime prudenti) inghiottiti in Italia dal gioco d'azzardo, la rivolta silenziosa di Monica Pavesi è già stata raccolta dal presidente dei baristi di Bergamo aderenti all'Ascom: «Non è danneggiando gente che magari ha già i suoi problemi - dice Giorgio Beltrami - che si giustificano certi guadagni».
Ma chi rinuncia alle macchinette, da cui arrivano quasi sempre gli incassi che permettono di tenere aperto il bar, avrebbe bisogno di sostegno. Anche perché le concessionarie invogliano sempre più i baristi a installare le slot. Lo racconta Simone Feder, psicologo, impegnato da anni nella lotta alle slot e nell'assistenza ai malati da gioco a Pavia, che è in testa alla classifica delle città italiane per spesa pro capite alle macchinette (2.870 euro all'anno). «Alcune concessionarie - dice Feder - con le slot offrono un pacchetto che prevede anche l'installazione gratuita di telecamere di sorveglianza, mega televisore al plasma e impianto d'allarme». E, così, resistere diventa sempre più difficile.
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