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12 giugno 2012
Perchè mangiamo senza fame ?
MILANO - Chiunque abbia cercato di perder peso sa che la gratificazione legata al cibo rende difficile seguire una dieta. Ora uno studio di Palmiero Monteleone, del Dipartimento di psichiatria della Seconda Università di Napoli, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, contribuisce a chiarire come l'organismo reagisce alla disponibilità di alimenti appetibili, indipendentemente dalla stimolo della fame. Per migliaia di anni l'umanità è stata selezionata a lottare per la conquista del cibo ed è stata la fame a regolare l'assunzione degli alimenti; oggi, invece, si mangia spesso anche quando si è sazi, per il solo piacere di farlo.
«Comprendere i meccanismi con cui l'organismo risponde a questa situazione così mutata è fondamentale per fronteggiare l'epidemia di obesità del mondo sviluppato — spiega il ricercatore —. I risultati ottenuti, in collaborazione con il Gruppo di ricerca sugli endocannabinoidi del Laboratorio di chimica biomolecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pozzuoli, sono solo preliminari e andranno approfonditi, ma suggeriscono la direzione in cui andare per capire che cosa sostiene il bisogno di gustare un succulento gelato con panna montata anche alla fine di un ricco pasto».
«Abbiamo studiato un piccolo gruppo di uomini e donne, giovani e senza disturbi del comportamento alimentare, — continua lo psichiatra — che sono stati sottoposti a due test, a distanza di un mese uno dall'altro, nel corso dei quali sono stati invitati a consumare una colazione da 300 chilocalorie, composta al 77% da carboidrati, al 10% da proteine e al 13% da grassi, dopo la quale dovevano quantificare quanto appetito fosse rimasto loro. Dopo un'ora abbiamo presentato a ciascuno dei partecipanti allo studio il piatto che avevano indicato in precedenza come preferito, lasciandoglielo davanti per cinque minuti, da guardare e annusare, senza poterlo mangiare subito». In questo intervallo di tempo i volontari dovevano di nuovo rispondere ad alcune domande: quanto appetito avessero, quanto forte fosse il desiderio del cibo che avevano davanti e in che porzione intendessero prenderne.
Nella prova ripetuta dopo un mese, ai partecipanti si chiedeva di assumere, al posto del loro piatto preferito, un preparato senza sapore, ma con le stesse calorie, e la stessa distribuzione di nutrienti, di quello presentato nella prima fase dell'esperimento. Sebbene dopo la colazione tutti si fossero dichiarati "pieni", nessuno dopo un'ora ha esitato ad approfittare del fuori pasto, ma in quantità molto maggiore nella prova con il cibo preferito rispetto a quella successiva con il cibo insapore, come c'era d’altronde da aspettarsi. «Interessante è però il fatto che queste due situazioni hanno suscitato reazioni diverse a livello biochimico — interviene Vincenzo Di Marzo, esperto di endocannabinoidi, sostanze presenti nel cervello che agiscono sugli stessi recettori stimolati dai derivati della cannabis —. Quando i nostri soggetti hanno gustato il cibo che faceva venir loro l'acquolina, il dosaggio dell'ormone grelina, e di uno specifico cannabinoide naturale nel sangue, aumentavano in maniera significativa, e restavano elevati per un paio d'ore. Al contrario, quando il "supplemento" non era gradito i livelli di queste sostanze andavano progressivamente scendendo».
Lo studio è interessante perché dimostra, ancora una volta, che siamo programmati per accumulare più calorie possibili in vista dei tempi di carestia, e il sapore dei cibi è funzionale a questo. La spinta a nutrirsi può venire dagli stimoli della fame, mediata dalla caduta dei livelli di zucchero nel sangue, ma anche dalla sola vista di alimenti invitanti: «I meccanismi alla base di questa seconda forma di appetito sono in gran parte ancora da capire» concludono gli esperti. Ma il loro lavoro è un primo passo per studiare questa "fame", paradossale, che non deriva dalla carenza di cibo, ma dalla sua offerta.
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